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giovedì 29 agosto 2019

“C’era due volte il barone Lamberto”

Se hai in mente di visitare una località del lago d’Orta, c’è una cosa che devi sapere. Non è un segreto, anzi: ci piace farlo sapere a tutti!
  Gianni Rodari, lo scrittore famoso per le sue filastrocche, nacque e visse a Omegna per i primi nove anni della sua infanzia. E scrisse un libro in cui l’isola di San Giulio, il lago d’Orta, tutto il territorio intorno e i suoi abitanti sono protagonisti; s’intitola C’era due volte il barone Lamberto.

Il libro racconta una favola che va al contrario e obbedisce solo a se stessa: il protagonista non è un giovane che, dopo mille avventure, diventa adulto, ma un vecchio di novantatre anni, molto ricco e sempre malato, che diventa un bambino di tredici anni.
  La storia, spiega l’autore, va al contrario in onore del lago d’Orta che fa di testa sua:
Il lago d’Orta, nel quale sorge l’isola di San Giulio e del barone Lamberto, è diverso dagli altri laghi piemontesi e lombardi. È un lago che fa di testa sua. Un originale che, invece di mandare le sue acque a sud, come fanno disciplinatamente il Lago Maggiore, il lago di Como e il lago di Garda, le manda a nord, come se le volesse regalare al Monte Rosa, anziché al mare Adriatico.
Perciò, dopo aver visitato i luoghi bellissimi del lago d’Orta, corri in libreria a prendere la tua copia: ogni volta che leggerai la favola del barone Lamberto, riconoscerai i luoghi descritti – l’isola di San Giulio, Orta San Giulio, i paesi del Cusio (Pogno, San Maurizio d’Opaglio, Alzo, Pella, Corconio, Lortallo, Vacciago, Omegna, Gozzano, Ameno), i monumenti (il Belvedere di Quarna, il santuario della Madonna del Sasso, la torre di Buccione, il convento del monte Mesma, il santuario della Madonna della Bocciola, il Sacro Monte di Orta), i monti (l’Alpe Quaggione, il Mottarone, il Monte Rosa) e avrai un intero libro come ricordo delle tue vacanze.

Buon vento!

AiQuattroVenti lago d'Orta Gianni Rodari

lunedì 20 marzo 2017

Pelle di Leopardo


Per anni l'ho ignorato. Quel libro rimaneva sullo scaffale senza mai essere toccato: era un regalo di Natale di mia madre, ma io ero troppo acerba per coglierne il gusto intenso.
Dieci anni più tardi l'ho assaggiato con curiosità e ho scoperto che mi piaceva e ne volevo di più. Quel libro si chiama In Asia e l'autore è Tiziano Terzani, che mi ha conquistata per sempre.

Per mestiere raccontava i suoi viaggi e tutto ciò che incontrava lungo la strada. I suoi viaggi erano speciali, perché era un giornalista e un corrispondente e andava nei luoghi caldi del mondo per cercare e mostrare la realtà.

Quando m'innamoro di un autore, devo leggerlo dal suo primo testo all'ultimo, in rigoroso ordine cronologico, per coglierne l'evoluzione. Perciò ora comincio con Pelle di Leopardo. L'edizione del 2000 raccoglie due testi, Pelle di leopardo. Diario vietnamita di un corrispondente di guerra 1972-1973 (pubblicato nel 1973) e Giai Phong! La liberazione di Saigon (pubblicato nel 1975). Entrambi i libri raccontano la rivoluzione vietnamita.

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Come sa descrivere la sua ricerca e le sue scoperte, in pochi sanno fare. Leggendolo ho conosciuto una parte di storia così tanto vicina a me, e forse per questo sconosciuta.
Il libro mi ha avvinto e rapito, ma la parte più bella e che più mi ha colpito è la premessa scritta venticinque anni dopo da Terzani. Una persona abituata a cercare la realtà per mostrarla a chi ancora non la conosce sa che la realtà a volte inganna. Perché la realtà è fatta di intenzioni che spesso diventano azioni opposte.
Così un libro, per anni unico testimone della bontà della rivoluzione, pochi anni dopo testimonia quanto quella bontà fosse effimera.

Viaggiare significa testimoniare la Storia, anche e soprattutto quando cambia e quando ciò che ci ha dato speranza s'è dimostrato una terribile, terribile delusione.

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venerdì 10 febbraio 2017

Un viaggio lungo quattro mesi e novanta pagine

Sto viaggiando lungo i fiumi delle antiche civiltà, in questi giorni.

Dalla prua di una barca di papiro sul Nilo, osservo i campi e i contadini al lavoro. Stormi di uccelli acquatici ridacchiano tra i fiori di loto, i bambini ci inseguono per brevi tratti ridendo e correndo lungo la riva.
Sulla gobba di un dromedario guardo snodarsi la carovana, come un serpente nel deserto. Stiamo raggiungendo l'oasi, il fresco delle fronde, il canto dell'acqua e la dolcezza del riposo.
Attraverso la Mesopotamia sulla barca rotonda di un ricco mercante: tra l'odore di bitume e di animali spaventati, mi auguro che la corrente del Tigri mi porti veloce al mare.
Da qui mi imbarco su una robusta nave di legno e veleggio verso la ricca valle dell'Indo, a guardare come fanno a costruire i pesi per bilance.
Mi spingo più in là, verso il Mar Giallo per rubare il segreto della carta, vestirmi di seta e bere il tè.

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Vedo meraviglie, paesaggi nuovi e inimmaginabili, assaggio cibi diversi, ascolto lingue incomprensibili e discorsi identici. Vado dove i mercanti dell'antichità andavano, sempre più in là, in cerca di pietre e metalli preziosi, materie prime rare e pregiate, gioielli e oggetti di prestigio, conoscenze, credenze, tecnologie innovative.

Sto scrivendo un altro libro di storia antica, in quesi giorni.

giovedì 1 ottobre 2015

Annibale


Prima di questa rubrica non mi era mai accaduto. Ora, invece, quando entro in libreria mi dirigo subito nel settore viaggiatori. A casa ho un Chatwin, una raccolta di Kerouac e tutti i Terzani, ma sono gli sconosciuti quelli che mi attirano di più. E io Annibale. Un viaggio di Paolo Rumiz non lo conoscevo.

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Lascio che lo sguardo indugi tra i titoli e, se qualcuno mi cattura, la mano s'allunga per prendere il libro, rigirarlo, aprirlo e sfogliarlo. Lascio che l'istinto mi dica: "Prendilo!" e lui viene a casa con me.
Con Annibale c'è stato un colpo di fulmine: il titolo mi ha incuriosito, il viaggio mi ha inchiodato, lo stile mi ha avvinto. Un libro rivelazione, per me.
L'autore è un giornalista e un viaggiatore, vede le vicende del mondo contemporaneo dal vivo e vive la geografia viaggiando. In Annibale racconta un viaggio nel tempo, sulle tracce del generale cartaginese: dalla Tunisia alla Spagna, dalla Francia all'Italia, dall'Italia di nuovo in Tunisia e poi in Turchia. Seguendo le sorti, le strategie militari e i grandi sogni di quest'uomo antico.
Si può viaggiare in ogni dimensione: è la motivazione il vero carburante di un viaggio, è il ricongiungimento della domanda alla risposta - la conquista, la ricerca, la necessità. La voracità della conoscenza, l'emozione della scoperta, il piacere della conquista. Ancor più quando si viaggia sulle linee di un paesaggio divenuto carta storica.
È vero, quindi: si può viaggiare nella quarta dimensione, il tempo. Non solo a occhi a perti, sognando un futuro di piccole cose: anche a ritroso, nel passato. Quante volte ho seguito col dito le linee tracciate su una carta geografica, immaginando gruppi di genti nelle loro migrazioni? Mi spostavo con loro lungo rotte marine, risalendo fiumi e svalicando catende montuose, mi fermavo nella terra promessa assieme alle loro tradizioni e credenze, incontravo le genti del posto e li osservavo fondersi assieme in una nuova cultura, in un nuovo popolo - un nuovo tassello verso la storia odierna.


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Si può viaggiare per passione e quando la passione è la storia antica può essere un viaggio infinito.

Buon vento

giovedì 9 luglio 2015

Viaggio in Mediterraneo




Torna la rubrica per  chi cerca "qualcosa di più" con il libro Viaggio in Mediterraneo. Immagini, incontri, riflessioni di un velista curioso di Giorgio Daidola.

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Inizio a leggerlo, pregustando il racconto del viaggio, degli incontri e delle scoperte, e non vedo l'ora di confrontare le emozioni di un viaggiatore di più mari con quelle di un viaggiatore di un unico mare! Dopo qualche pagina, però, temo di aver preso un abbaglio: non è quel che mi aspettavo.
Eppure c'erano tutte le premesse...

Conosco l'autore durante uno degli Incontri con gli Autori organizzato dalla Lega Navale Italiana di Arona. Inizia a parlare e mi porta in un mondo del tutto sconosciuto, che mai avrei potuto - anche solo lontanamente - immaginare: le avventure degli alpinisti marinai. Mari e montagne sono due esperienze molto intime e connesse, dice. E ci affascina con storie di marinai diventati velisti per necessità (Ernest Shackleton), di velisti dotati di tenacia e gran sensibilità (Isabelle Autissier), di alpinisti che non si rassegnano all'età e prendono la via del mare per salire su montagne più basse (Bill Tilman), di avvocati che diventano i primi velisti a fare il temibile passaggio est-ovest in Alaska (Cristina Rapisardi), di giovani che costruiscono una barca per rivivere l'avventura di un eroe (Gerard Janichon e Jerome Poncet), di biologi che partoriscono attraversando l'Antartico in slitta (Sally Poncet), di guide alpine che attraversano paesi ghiacciati sugli sci (Bertrand Dubois), di spedizioni mare-montagna nei fiordi norvegesi (Jean Luois Etiennne), di crociere scialpinistiche... Racconti appassionati ed emozionanti, come quando ricorda del suo viaggio in barca a vela per raggiungere Stromboli e poi delle sue discese sulla lava della Sciara del Fuoco!

Insomma, apro le pagine del libro immaginando di trovarmi avvinta in un racconto di viaggio, in cui l'autore apre il suo cuore e offre le sue emozioni ai lettori. Invece mi ritrovo a seguire il resoconto di una lunga vacanza, durata cinque anni, tra le isole e le coste del Mediterraneo orientale.
Leggendolo, infatti, il libro mi sembra una sorta di guida turistica per velisti: mentre racconta i luoghi visitati e le persone incontrate durante la sua crociera, fornisce (tante) informazioni, valutazioni personali e consigli  su marina, porti, attracchi, procedure, ristoranti, locali, personale a cui rivolgersi per il mantenimento e la cura della barca. Ma io non sono una velista e queste cose mi interessano poco: io cerco l'emozione che insegna!

Alla fine del libro, mi rendo conto di dover affinare le mie doti di archeologa e scavare tra le righe e le parole. Per trovare qualcosa su cui meditare.

Non è un portolano, ma il libro di un marinaio di terra che cerca la terra, il rapporto con la natura e la gente, dice presentandosi quella sera.
Ed è così: l'amore per la natura è palpabile. Con poche parole sa descrivere la sensazione di vitalità, curiosità e felicità di fronte alla bellezza dei paesaggi incontaminati. Il contatto con la natura più pura riesce a calmare il suo bisogno incessante di fuggire. E l'incontro con persone eccezionali, capaci di trasmettere insegnamenti importanti, dà senso al suo vagabondare.
Perché l'autore lo dice chiaramente: insegue la lentezza di vivere concedendosi avventurose fughe "a tempo" dalla vita di tutti i giorni. Ma queste fughe sono anche la causa dei ritmi ossessivi della vita di tutti i giorni: come un cane che si morde la coda.
Quest'ansia si coglie spesso: quando descrive la continua corsa contro il tempo per prenotare aerei, treni e posti barche in date ben precise; quando esprime il suo rammarico per non potersi fermare più a lungo in un posto perché esiste una tabella di marcia; quando paragona la stressante programmazione dei periodi di lavoro e di fuga come vivere su un asse di equilibrio.

C'è un fatto, che più di tutti mi colpisce: l'autore non viaggia solo. Confessa, infatti, che stare da solo e intraprendere un viaggio in solitaria non gli è mai piaciuto.
Sono stupita e fatico a comprendere: per me viaggiare davvero significa solitudine, per poter accogliere dentro di me il mondo là fuori senza filtri. Per osservare, meditare, emozionarmi, imparare, crescere. Quando sono in compagnia di qualcuno, mi godo la sua presenza. Ma non sono in grado di far bene entrambe le cose contemporaneamente.
Ritrovo il mio pensiero espresso da una delle persone che l'autore ha incontrato nel suo viaggio: "Finché non lo fai non puoi capire cosa significa stare da solo, cosa ti dà. E cioè molto. Ritengo sia un'esperienza essenziale per capire la vita e gli altri. Vedi, questa sera io sono qui con te e sto benissimo, proprio perché grazie alla mia solitudine posso aprirmi al mondo."

Ecco quel che mi lascia questo libro: non tutti i viaggi sono uguali, perché non tutte le persone sono uguali. C'è chi viaggia per conoscere il mondo e se stesso, c'è chi viaggia per ampliare i propri orizzonti e non smettere mai di imparare. C'è chi viaggia perché sospinto dalla zugunruhe, c'è chi viaggia per conoscere il proprio posto nel mondo. Per alcuni, invece, il viaggio è una cura contro l'ansia del viver quotidiano; una cura a tempo deteminato, però, che non avrà mai fine e non darà sollievo.

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Al di là delle opinioni personali, delle informazioni tecniche, dei consigli pratici. Al di là delle interviste ai personaggi, delle fotografie, del resoconto di viaggio. Al di là delle considerazioni sugli equipaggi, dei ricordi di gioventù, dell'amore per la terra.
Al di là di tutto ciò: ci sono i viaggiatori e ci sono i fuggitivi.
I viaggiatori assaporano, i fuggitivi inseguono; i viaggiatori si riempiono, i fuggitivi si svuotano; i viaggiatori amano la solitudine, i fuggitivi la temono; i viaggiatori trovano pace, i fuggitivi non la troveranno mai.
Anche questo libro mi dona qualcosa di grande su cui meditare.

Buon vento.
 

lunedì 25 maggio 2015

Cityteller: una app per passeggiare in città sfogliando le pagine d'un libro

Due domeniche fa ero al Salone Internazionale del Libro di Torino. La mia prima, bellissima volta: immersa in un mare di libri, infiniti libri, mi sentivo perfettamente a mio agio. Ho curiosato, sfogliato, domandato, raccontato, ascoltato, acquistato e sognato (grandi sogni a occhi aperti). Poi, quasi alla fine della visita, ho incontrato un piccolo stand: Cityteller, diceva. Mi sono fermata e ho chiesto informazioni.

Cityteller è una app gratuita (la trovi su Google Play e su Apple Store), ma anche una comunità di Viaggiatori di Libri (VdL), cioè coloro che viaggiano nel mondo tra le pagine degli autori più amati.
Assieme costruiscono una grande mappa e disegnano percorsi nelle città: ogni passo è il brano di una storia ambientata proprio lì.
Mi brillano gli occhi solo all'idea: viaggiare in tre dimensioni al contempo - sui marciapiedi delle città, tra le righe di un romanzo e nelle emozioni! Naturalmente voglio farne parte. Leggo con attenzione il pieghevole e scopro di poter usare Cityteller in modi diversi:
  • consultare una vera e propria mappa con i luoghi da scoprire attraverso le citazioni letterarie;
  • arricchiere la mia bacheca, aggiungendo spunti di lettura e di viaggio miei e di altri VdL;
  • partecipare alla creazione della mappa, fotografando il libro e inviando la citazione del luogo raccontato;
  • condividere l'esperienza emozionale di un luogo raccontato in un libro con l'intera comunità.
Sono pronta, cerco l'applicazione e la scarico sul telefono: Cityteller è una mappa geo-emozionale che racconta le città attraverso i libri, mi dice e già sorrido.
Poi corro a prendere Addio alle armi di Ernest Hemingway: scatto una foto alla pagina in cui parla del Grand Hotel Des Iles Borromées, aggiungo le informazioni del libro e del luogo e aspetto col cuore che batte. Nel giro di ventiquattro ore la mia citazione compare sulla mappa di Cityteller: è emozionante sapere di far parte di questa comunità!

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Nel frattempo curioso e mi perdo tra le citazioni e i percorsi: prima li cerco per autore, poi per genere letterario, per città e anche per hashtag. Divertentissimo e che gran voglia di viaggiare!

Con Cityteller sono diventata un'entusiasta Viaggiatrice di Libri, e tu?

sabato 25 aprile 2015

Le oche delle nevi



Dopo il giro del mondo in barca a vela e in moto, la rubrica per chi "cerca qualcosa di più" prosegue sulle ali de Le oche delle nevi di William Fiennes. 
Il libro giusto per questa stagione: parla di migrazioni primaverili, ma non solo.

La storia è molto semplice: l'autore, convalescente a casa dei genitori in seguito a una serie di operazioni, decide di seguire la migrazione primaverile delle oche del nevi. Il progetto nasce dopo aver ritrovato un libro, in cui un'oca delle nevi finisce fuori rotta dopo una violenta tempesta.
Il suo è un viaggio su più livelli: ci sono gli uccelli migratori; ci sono i luoghi e le persone incontrate, densi di storie e portatori di doni; c'è il filo dei suoi pensieri, dal giorno in cui è stato dimesso dall'ospedale al giorno in cui torna a casa con una consapevolezza importante.

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William Fiennes, Le oche delle nevi, Bompiani 2002
williamfiennes.com

Il viaggio da Austin in Texas fino all'Isola di Baffin in Canada per seguire la migrazione delle oche delle nevi verso i loro luoghi natii è, in realtà, un viaggio all'interno della coscienza: entrambi s'intrecciano e danno significato l'uno all'altro.
Gli uccelli viaggiano perché l'asse terrestre è inclinato: fedeli ai cicli circannuali, in autunno volano verso il caldo e in primavera verso i luoghi di riproduzione. Due volte all'anno l'alimentazione intensiva e l'irrequietezza (Zugunruhe) segnano il tempo delle migrazioni e rispondono al loro istinto migratorio: il bisogno di spostarsi, infatti, è codificato nei loro geni. Anche la rotta è codificata nei loro geni, ma con una certa flessibilità: all'occorrenza trovano la strada seguendo il sole, le costellazioni e gli angoli d'inclinazione delle linee del campo magnetico.
L'autore viaggia perché ha bisogno di nuovi orizzonti: la spinta degli uccelli a migrare suscita in lui il desiderio di novità e libertà.  Dalla nostalgia struggente di casa, provata in ospedale, al bisogno di una via di fuga durante la convalescenza e, di nuovo, la nostalgia di casa. La nostalgia è il dolore del ritorno e accade in due dimensioni: nello spazio (la mancanza di casa) e nel tempo (l'anelito a ritornare nel passato).
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Ecco, la nostalgia. Credo di averne sofferto in rari casi, quando da bambina o da ragazzina mi trovavo altrove senza volerlo - forse, era più un sentimento di ribellione. Di solito mi piace l'idea di tornare a casa, perché ho nuove idee e progetti, che non vedo l'ora di realizzare. Ultimamente, però, soffro di nostalgia al contrario: un dolore sordo e forte che m'impedisce di respirare al solo pensiero di abbandonare un posto per tornare a casa. Chissà che cosa significa?

Buon vento!

giovedì 9 aprile 2015

Il giro del mondo in moto

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Dopo aver attraversato gli oceani in barca a vela, mi regalo Il giro del mondo in moto di Marco Deambrogio. Un libro letto anni fa e riletto con lo stesso piacere di allora.

Non conosco personalmente l'autore, ma dalle pagine di questo libro mi sembra una persona fortunata: sa come trasformare i sogni in realtà oltre ogni ostacolo, oltre ogni paura o titubanza, oltre ogni fatica; va avanti, in cerca di qualcosa di nuovo, per saziare la curiosità, per testare la forza della libertà. Per dare un senso più pieno alla propria vita.

A trent'anni inizia a viaggiare, o meglio a esplorare il mondo e, assieme, i propri limiti: sui ghiacci della Groenlandia, via terra e via fiume in Cambogia, in Vietnam e nella foresta amazzonica, sul fuoristrada in Islanda e attraverso l'Australia, sugli sci dalla Siberia al Polo Nord, a piedi nella foresta vergine della Nuova Guinea e sull'Everest.
E poi arriva la motocicletta e il giro attorno al mondo: cinquantasettemila chilometri in otto mesi, dal continente americano in direzione sud-nord al Giappone, dalla Russia in direzione est-ovest all'Europa del nord e, infine, in Italia, a casa.
Dopo questa avventura continua a viaggiare nel mondo, spesso in moto, a volte in automobile, altre ancora a piedi. Continua a incontrare gente, confrontarsi con la vita, provare e raccontare emozioni. 

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Marco Deambrogio, Il giro del mondo in moto, Sperling & Kupfer Editori, 2006
marcodeambrogio.com


Un viaggiatore come quelli di una volta, per cui lo scopo del viaggio è la scoperta: scoprire l'infinito mosaico di paesaggi e genti, scoprire nuovi limiti, scoprire nuovi pensieri. Scoprire ogni volta la fortuna di una consapevolezza: il motore del viaggio è l'amore per la vita e per chi rimane a casa ad attendere il ritorno.
Questo mi fa riflettere: sono una viaggiatrice della mente, dell'anima e del tempo (raramente - ahimè - mi concedo un vero e proprio viaggio fisico al di là dei confini conosciuti), l'ultima "spedizione" la sto intraprendendo anche grazie alla fiducia delle persone che mi amano. Per me è una grande scoperta.

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Buon vento!

giovedì 19 marzo 2015

Il piccolo libro dei colori

Mi vesto di nero e vivo in una casa bianca, eppure i colori sono entrati nei miei pensieri e tra le mie parole passando da una porta speciale: la cultura. Li vedo sui murales della navigazione ogni volta che parcheggio ad Arona, li vedo scorrere negli ultimi sessant'anni con la color designer Francesca Valan e li ascolto raccontare la loro storia dalle pagine di un libro speciale: Il piccolo libro dei colori di Michel Pastoureau e Dominique Simonnet.

Michel Pastoureau è un antropologo e storico del colore francese esperto in simbologia. Sì, uno storico del colore: conosce i colori dalla loro storia, strettamente legata a quella dell'umanità, andando oltre le nozioni scientifiche dell'età moderna e indagandone il loro significato tra le fonti del passato.
Perché i colori sono sempre esistiti, creati e usati dalle persone per rappresentare le proprie idee fin dalla preistoria: in base alla facilità o meno di ottenerli e al loro utilizzo, esprimono un'anima, un carattere e un valore in mutamento nel corso dei secoli e dei millenni. Possiedono un codice segreto a cui tutti obbediscono inconsciamente. Ancora oggi.

Il colore è luce e materia: la luce delle fiaccole nelle grotte, delle lucerne a olio, delle candele, delle lampade a petrolio, delle lampadine a incandescenza, fino a quella dei neon e dei led; la materia della terra, degli animali e delle piante, diventata poi sintetica.
Il colore è simbolo e convenzione: quel che muta è la percezione, in base al progresso tecnologico, alle culture e alle epoche.
E così questa è la storia dei colori nella cultura occidentale, ricostruita in anni di studio dall'autore.

La storia dei colori.

In origine, nei tempi più antichi, esistevano tre colori fondamentali: il rosso, il bianco e il nero.
Poi, tra il 1100 e il 1200, nella cultura europea si aggiunsero altri tre colori di base: il giallo, il verde e il blu. Nel corso dei secoli sono stati investiti di significati diversi e oggi ciascuno di loro è un simbolo ambivalente (negativo e positivo); tranne il giallo - negativo tout court.

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Col passare del tempo sono arrivate le mezze tinte: il viola, l'arancio, il rosa e il marrone. Colori che hanno bisogno di un riferimento in natura (fiori e frutti) per essere identificati  e che incarnano nuovi simboli.
E il grigio, un colore a sé: non ha referenti in natura, ha un duplice simbolismo ed è conosciuto fin dall'antichità. È il colore che racchiude in sé tutti gli altri ed è ricco di sfumature - chi dipinge lo sa.

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Oggi esistono infinite sfumature di colori dai nomi poetici e un'identità "sfocata", senza simbologia ma solo un significato estetico: infinite sfumature, sebbene l'occhio umano ne può riconoscere solo duecento!

E se...

Se i colori non esistessero affatto? Insomma: i bambini ne contano tre, Aristotele quattro, gli studiosi di Oxford nel 1200 cinque o sei, Newton sei - poi s'è corretto aggiungendo l'indaco, ma solo perché al tempo la moda imponeva sistemi di sette o dodici elementi (dodici sarebbero stati davvero troppi). Se... un colore che nessuno guarda non esite? Lo afferma Goethe e lo dichiara Pastoureau.
E lo credo anch'io.
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Buon vento!

giovedì 26 febbraio 2015

Il Mediterraneo lasciato a poppa

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Inauguro questa nuova avventura con il libro Il Mediterraneo lasciato a poppa di Rodolfo Ridolfi. Mi sembra giusto: mentre ascolto il suo racconto, infatti, nasce l'idea di questa rubrica.

Invitata dalla Lega Navale di Arona a partecipare agli "Incontri con gli Autori", quel sabato di fine gennaio ero curiosa. L'autore racconta il suo viaggio in barca a vela attorno al mondo: da est a ovest attraverso gli stretti che separano (e uniscono) un mare dopo l'altro, un oceano dopo l'altro. Partito dal Mediterraneo nel 2003 carico di aspettative, circumnaviga la Terra rimanendo tra i due Tropici, dove i venti soffiano costanti verso occidente ed esistono solo due stagioni calde.  In estate infuriano gli uragani e il viaggio si ferma per qualche mese, per poi ricominciare a navigare. Tornato nel Mediteraneo nel 2007 ricco di ricordi, esperienze, nuove prospettive e saggezza: perché viaggiare è il modo migliore per conoscere il mondo e se stessi.

Una frase accende qualcosa dentro di me e mi mette in sintonia con lui; dice più o meno così: "Ho intrapreso il giro del mondo in barca a vela solo per realizzare il sogno di una vita. Poi una volta tornato in Mediterraneo sentivo la mancanza di qualcosa: scrivere. Scrivere era una cosa integrata al viaggio, scrivevo il diario di bordo ogni giorno - note tecniche, ma anche considerazioni sulla mia vita e la mia esperienza. Tornato a casa ho scritto il libro: cinque ore al giorno per cinque mesi consecutivi. Poi l'ho consegnato all'editore e ho chiuso un cerchio."
Credo sia la conoscenza (la scoperta) che preme per essere diffusa attraverso le emozioni.

Dopo la sua presentazione, mi faccio avanti per scambiare due chiacchiere. La sera, sotto le coperte, apro il suo libro e inizio a leggere. Lui racconta, io leggo, le immagini mi riempiono la mente, le emozioni mi riempiono l'anima. La mattina prima di iniziare una nuova giornata e la sera al suo termine, rimango attaccata alle pagine con un groppo in gola. Le emozioni che provo sono fortissime, trasmesse dalle sue parole intense.

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Rodolfo Ridolfi, Il Mediterraneo lasciato a poppa, il Frangente edizioni, 2011
rodolforidolfi.it

Il viaggio non è solo la realizzazione di un sogno, la necessità di sentirsi a proprio agio nella propria vita. È anche la ricerca di risposte a una domanda - la Domanda - che prima o poi tutti ci facciamo: perché si vive?
La risposta sembra semplice: si vive perché i nostri genitori ci hanno dato la vita. Ma in realtà è più profonda, non si cerca la causa, ma il fine: per che cosa si vive?  Forse si vive per preservare e rispettare le cose più preziose della propria vita.
L'autore trova risposte in un momento particolare della sua vita ("la rinascita"): le cose più preziose della vita sono la salute, perché oltretutto, se non si sta bene con se stessi non si sta bene con gli altri  e il tempo, perché non sappiamo quanto ne abbiamo a disposizione, non è quantificabile, non possiamo aumentarlo a discrezione. Ed è irripetibile.
Al termine del suo viaggio, trova una terza risposta: la speranza.
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Finisco questo libro e lo lascio sul comodino: mi mancherà. Mi ha insegnato tanto: dentro di me ho nuovi tasselli per comporre il mio rompicapo.

Buon vento

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