Un giorno di settembre, durante le nostre vacanze. Davano tempo instabile, sicché era l’occasione giusta per scappare ad Aosta e fare un vero viaggio a ritroso nel tempo.
Da
venticinque anni aspetto questo momento.
Era un giorno qualsiasi, una lezione come un’altra di Paletnologia; la strada da casa all’università, le biciclette, gli studenti ingiacchettati di giurisprudenza, la porta a vetri troppo moderna nella facciata del rinascimento lombardo, la bacheca con gli annunci, qualche scalino, il corridoio a gomito e infine la solita aula. Le porte ancora chiuse, aspettiamo fuori, io e altre colleghe aspiranti archeologhe. Quando il fiume di studenti ne esce, prendiamo i soliti posti. Estraiamo dalle borse il quaderno degli appunti, le penne, le matite, un paio di registratori e le mini torce – la mia è bianca, decorata con Lisa Simpson, sta in piedi da sola e la lampadina è orientabile. Il professore consegna a uno di noi – sempre il solito, lo chiama per nome – il carrello delle diapositive, fa spegnere le luci – si accendono le mini torce – e inizia a spiegare. Oggi racconta di un sito preistorico dal nome francese, e io m’innamoro perdutamente.
Da quel giorno non vedo l’ora di visitarlo: è vicino, ad Aosta. È l’
area megalitica di Saint-Martin-de-Corléans.
Perciò puoi immaginare come mi sento oggi. Siamo partiti dal Lago Maggiore per raggiungere
Aosta, io che non sto più nella pelle, mio marito che guida nel paesaggio tipico del nord-ovest italiano. Attraversiamo le colline moreniche, la pianura coltivata, le risaie, la valle circondata da monti su cui le nuvole grasse di pioggia si fanno il solletico.
Appena entriamo in città, seguiamo i cartelli marroni che indicano la strada. È un giorno come un altro, c’è poco traffico, i ragazzi sono a scuola, troviamo un parcheggio comodo senza fatica. Sono impaziente. Passato, presente e futuro si mischiano nella mia testa, nelle emozioni e non mi aspetto niente, se non di assaporare quel che vedrò.
A pochi passi da qui sorgeva un
grande centro di culto e di cerimonie durato millenni: la sua sacralità attraversa le epoche successive ed è testimoniata ancora oggi dalla piccola chiesa dedicata a Saint-Martin.
Le due strutture del museo affiancano la strada guardandosi negli occhi. Sono di acciaio, vetro e sanno di terzo millennio; proteggono un’area archeologica indagata di 10.000 mq, tagliata in due dalla strada che stiamo percorrendo.
Da una parte il futuro museo che proteggerà e racconterà l’area frequentata nelle età del Bronzo, del Ferro, romana e nel Medioevo. Dall’altra quello inaugurato nel 2016, che conserva e mette in luce le fasi più antiche del sito, dal Neolitico alla prima età del Bronzo (fine V – inizio II millennio a.C.). In tutto 18.000 mq di Storia.
Entriamo. Paghiamo i nostri biglietti, seguiamo le indicazioni del personale e ci prepariamo al nostro
viaggio nel tempo.
Una “discesa temporale” ci porta dall’era digitale alla preistoria: è un viaggio a ritroso verso l’inizio della storia e il livello del sito archeologico vero e proprio, a circa sei metri sotto il piano di calpestio odierno. Sono già estasiata.
Appena varco la porta, rimango colpita dalla vastità dell’ambiente. Là in centro, davanti a me, c’è l’
area archeologica. Quella vera, scavata da decine di giovani archeologi (poi diventati ricercatori e docenti) per più di vent’anni di indagini e studi scientifici. Non posso fare a meno d’immedesimarmi in loro.
Poi mi accorgo di un fatto strano: la penombra si trasforma poco alla volta in chiarore e le luci, pian piano, si spostano e illuminano le varie parti dell’area. “Guarda!” esclamo, “Sembra il sole che si alza, attraversa il cielo e se ne va. E poi c’è la notte!” Col naso all’insù, osserviamo le luci che simulano il passaggio del tempo nelle ore della giornata: dall’alba al tramonto, dal giorno alla notte.
Illuminano l’area archeologica – la vera protagonista –, mettono in evidenza le strutture scavate nel terreno e quelle in elevato della fase megalitica del sito, ed evocano il collegamento tra gli antichi monumenti e i fenomeni celesti – equinozi, solstizi, le posizioni del Sole e della Luna che segnano le stagioni.
Cammino sulla passerella che circonda e si affaccia sull’area archeologica. Ci sono pannelli, video, disegni sul pavimento e sulle pareti che spiegano la scoperta, le indagini, le singole fasi di frequentazione del sito e i monumenti: leggi una descrizione, ti giri e guardi con occhi nuovi gli originali. Se poi hai fortuna, ti capita di vedere gli archeologi al lavoro, mentre raccolgono, fotografano, studiano i reperti ancora
in situ.
Il
museo è formato da sei sezioni che seguono e ricostruiscono le fasi più antiche dell’area archeologica: le tracce di arature del Neolitico, i pozzi, gli allineamenti di pali, gli allineamenti di stele antropomorfe e le tombe monumentali del III millennio a.C.
In una sala a parte sono allineate, senza sostegni (in un video mostrano come hanno fatto), le statue-stele originali (quelle sullo scavo sono repliche). Sono così vicine, che sto per toccarne la superficie e seguire i solchi dei motivi incisi…
In apparenza il
Parco archeologico e Museo di Saint Martin de Corléans è una struttura che conserva i monumenti di una grande e antica area di culto, lasciati là dove sono stati rinvenuti; in realtà è un ambiente vivo, in cui scavi, ricerche, reperti, sezioni museali e visitatori interagiscono tra di loro.
Ho studiato tutto questo – l’area archeologica, le fasi, le statue-stele, le tombe – anni fa. Essere qui e ora, a un passo dal suolo calpestato in antico dalle genti del luogo, mi fa sentire tutta la potenza della Storia. Davvero questo posto è magico: riesce a portarmi
indietro nel tempo pur rimanendo profondamente nel presente.